L’unica carta vincente che manca a questo seguito è l’effetto speciale Jack Nicholson. L’arte e il genio di Tim Burton invece si replicano, in un’articolata trama umoristica-horror che parla anche di politica, frustrazioni sessuali, infanzie traumatiche e doppie personalità. Il tutto incorniciato in un dipinto dallo splendido fascino figurativo (lo scenografo Bo Welch sostituisce Anton Furst), crepuscolare, surreale e simbolico, dove Burton alterna humour, tragedia e horror assurgendo, fra un tocco di classe e l’altro, a una sotterranea complessità tematica sul deterioramento, psicologico e materico, della civiltà umana. E scopre le carte: l’eroe Batman passa in secondo piano rispetto agli amati mostri suoi nemici, fra cui un Danny De Vito irriconoscibile nel ruolo del Pinguino neo-Riccardo III ed Erode (vuole uccidere tutti i primogeniti) e un Christopher Walken con lo stesso nome dell’interprete del Nosferatu di Murnau (Max Shrek). Nella definizione dei villain sta la grandezza dell’opera: le azioni criminali di Oswald Cobblepot (che non incute timore ma pietà) e Selina Kyle sono il prodotto ‘freak’ di ingiustizie e soprusi, mentre la malvagità del potere e del capitale (Shrek) è meno giustificabile e meno visibile esteticamente. Se il Pinguino, infine, ascrive le sue azioni nella pura cattiveria rivendicativa da disturbato, specchio di un Batman con forme di psicosi, è il personaggio femme-fatale, ferino, seduttivo e ingestibile di Catwoman a contenere i grigi più intriganti. Danny Elfman, con più libertà creativa, supera se stesso nella composizione musicale e la sceneggiatura, accreditata a Daniel Walters, in realtà ha visto un massiccio lavoro di Wesley Strick sulla traccia del Pinguino, su sollecito di Burton stesso. Film dark e inquietante, senza eroi, per molti migliore del suo predecessore.
Come la maggior parte dei film di Burton, Batman Returns parla di un gruppo di mostri che cercano di dare un senso al mondo. Nessuno dei personaggi principali – Batman, Selina, il Pinguino o Shreck – assomigliano a persone normali e tutti stanno cercando di dare un senso al mondo che li circonda. È una prospettiva che non è troppo diversa da qualsiasi altro film nel canone di Burton, tanto che Batman il ritorno si inserisce comodamente come parte della trilogia del regista “Christmas Outsiders” . I temi non sono troppo diversi. Bruce Wayne e il Pinguino danno la sensazione di adattarsi comodamente a fianco di Edward mani di forbice o Willy Wonka o Ed Wood.
E allo stesso tempo, tuttavia, il film è chiaramente una storia di Batman. C’è la preoccupazione per l’infanzia, poiché sia Bruce che il pinguino affrontano il loro abbandono dei genitori. C’è una buona dose di dualità. Selina Kyle rispecchia ovviamente Bruce Wayne, ma è affascinante che ci voglia una combinazione di Max Shreck e Penguin per rispecchiare la dicotomia di Batman e Bruce Wayne. C’è un senso di tragedia in tutto, un senso grottesco e surreale che nessuno otterrà ciò che vogliono da tutto ciò. Inoltre, a Keaton viene dato un po’ più spazio qui per sviluppare la sua versione di Bruce Wayne. Non deve più flirtare goffamente con un protagonista femminile convenzionale, e invece gli viene dato spazio in cui lavorare.
Il Bruce Wayne di Keaton è estremamente strano. È anche estremamente introverso. Il primo assaggio di Bruce in questo film è di lui che attende che si accenda il bat-segnale, in modo che possa mettersi la sua vera faccia ed uscire a giocare. Non facciamo dormire Bruce sottosopra qui, ma abbiamo un po’ più di senso della persona sotto la maschera. In particolare, Bruce sembra notevolmente infantile qui, quasi innocente. La versione del personaggio di Christian Bale è un uomo che non si è mai concesso il lusso di un’infanzia, ma sembra che Keaton sia un personaggio che non ne è mai cresciuto.
La produzione è, come sempre, fantastica. Burton si sente un po’ più a suo agio qui rispetto al precedente Batman. La colonna sonora di Danny Elfman è ancora più forte questa volta, incorporando segnali musicali meravigliosamente appropriati per ciascuno dei tre protagonisti e mescolandoli senza soluzione di continuità. Il design di Gotham a cura di Anton Furst rimane bello e sorprendente, suggerendo uno strano alternarsi degli anni ’30 in cui il fascismo sembra aver messo radici in America. Come sempre, è stranamente appropriato sia per Batman che per Burton.
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